Le 22 Metodologie didattiche più diffuse (elenco completo)



Le metodologie didattiche sono insiemi di strategie, tecniche e attività utilizzate dagli insegnanti per facilitare l’apprendimento degli studenti. L’obiettivo è rendere l’istruzione più efficace, coinvolgente e adatta alle esigenze individuali degli studenti. Di seguito una panoramica di alcune metodologie didattiche comuni:

  1. Cooperative Learning: 

    è un approccio che promuove l’apprendimento degli studenti attraverso il lavoro di gruppo. Gli studenti lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni, sostenendosi a vicenda e condividendo le conoscenze. Le origini del Cooperative Learning risalgono agli inizi degli anni '70, ma le sue radici possono essere tracciate fino agli studi di Kurt Lewin e Morton Deutsch. Successivamente, David e Roger Johnson hanno contribuito significativamente allo sviluppo di questa metodologia.

    Nel Cooperative Learning, gli studenti sono divisi in piccoli gruppi eterogenei per competenze e interessi. All’interno di questi gruppi, ogni membro è responsabile non solo del proprio apprendimento ma anche di quello dei compagni. Questo metodo si basa su cinque elementi chiave:

    • Interdipendenza positiva: i membri del gruppo dipendono gli uni dagli altri per raggiungere l’obiettivo.
    • Interazione faccia a faccia: gli studenti lavorano vicini e si aiutano reciprocamente.
    • Valutazione individuale e di gruppo: ogni studente è valutato sia individualmente sia come parte del gruppo.
    • Sviluppo di abilità sociali: comunicazione, leadership, fiducia e gestione dei conflitti.
    • Processamento di gruppo: riflessione sulle dinamiche di gruppo e sugli obiettivi raggiunti.
  2. Jigsaw (Apprendimento Cooperativo): detto anche metodo del puzzle, è una tecnica di apprendimento cooperativo che promuove l’inclusività valorizzando le diverse prospettive e i punti di forza individuali. Questo metodo è stato sviluppato negli anni '70 da Elliot Aronson, un psicologo sociale, per aiutare a ridurre i gruppi razziali nelle scuole integrate forzatamente.

    Le fasi del metodo Jigsaw sono:

    1. Formazione dei Gruppi Jigsaw: Gli studenti vengono divisi in gruppi eterogenei da 5 o 6 persone, in termini di genere, etnia, razza e abilità.
    2. Assegnazione dei Ruoli: Viene nominato un leader in ogni gruppo, inizialmente lo studente più maturo.
    3. Divisione della Lezione: La lezione viene divisa in segmenti, e ogni studente di ogni gruppo riceve l’incarico di apprendere un solo segmento.
    4. Gruppi di Esperti: Gli studenti si riuniscono con altri che hanno lo stesso segmento da apprendere e diventano “esperti” in quel particolare argomento.
    5. Insegnamento ai Compagni: Gli studenti ritornano ai loro gruppi Jigsaw originari e insegnano agli altri membri del gruppo ciò che hanno imparato.
    6. Valutazione: Alla fine della sessione, l’insegnante verifica l’apprendimento di ciascun studente.

    Con la cooperazione, il metodo Jigsaw riduce il conflitto tra studenti e migliora la motivazione all’apprendimento.

  3. Debate: 

     è una metodologia didattica che consiste in un dibattito strutturato, nel quale due squadre sostengono posizioni contrapposte su un argomento assegnato. Ogni squadra è composta da diversi membri che, attraverso tempi e regole prestabiliti, presentano e difendono la propria tesi, mentre contestano quella avversaria.

    Le origini del debate sono molto antiche e possono essere fatte risalire alla disputatio medievale, un sistema di insegnamento nato in seno alla filosofia scolastica. Queste dispute medievali erano forme di debate attentamente regolate. Tuttavia, il concetto di debate come lo conosciamo oggi ha radici anche nell’antica Grecia, dove il primo a teorizzarlo fu Aristotele. Nell’opera “I Topici”, il filosofo delineò le caratteristiche delle riunioni dialettiche, uno scambio di domande e risposte tra due oppositori, seguendo lo schema premessa-svolgimento-conclusione.

    Il processo del debate si svolge in diverse fasi:

    1. Preparazione: Le squadre ricevono un tema controverso e si preparano su entrambe le posizioni per essere pronte a difendere sia la tesi PRO che la tesi CONTRO.
    2. Argomentazione: Ogni membro della squadra ha un tempo limitato per presentare la propria tesi e fornire argomentazioni a sostegno.
    3. Replica: Dopo la presentazione delle tesi, segue una fase di replica dove le squadre rispondono alle argomentazioni avversarie.
    4. Conclusione: Le squadre riassumono i punti chiave della loro argomentazione e cercano di convincere i giudici della validità della loro posizione.

    Il debate non è solo una competizione, ma anche un esercizio educativo che mira a sviluppare capacità critiche, argomentative, retoriche ed espositive. È importante che le squadre si preparino su entrambe le alternative per poter argomentare razionalmente e pesare i pro e i contro di ogni posizione.

    In conclusione, il debate è una metodologia trasversale che può essere applicata in diverse discipline e contesti educativi, non limitandosi solo alla filosofia ma estendendosi a tematiche di vario genere, promuovendo un apprendimento critico e collaborativo.

  4. Didattica laboratoriale: 

    La didattica laboratoriale è un approccio che enfatizza l’apprendimento attraverso l’esperienza diretta e l’attività pratica. Gli studenti sono coinvolti in esperimenti, progetti e attività che richiedono l’uso di strumenti e materiali specifici, promuovendo così un apprendimento più profondo e significativo. Questo metodo didattico è stato influenzato da diversi pedagogisti, tra cui Jean Piaget e John Dewey, che hanno sottolineato l’importanza dell’apprendimento attivo.
  5. Flipped Classroom

    La flipped classroom (classe capovolta) è stata ideata da Jonathan Bergmann e Aaron Sams, due insegnanti di chimica negli Stati Uniti. In questo modello, il tradizionale schema di insegnamento viene “capovolto”: gli studenti studiano il materiale didattico a casa, ad esempio attraverso video lezioni, e poi applicano ciò che hanno imparato in classe attraverso attività pratiche e discussioni. Questo permette di dedicare più tempo in classe all’approfondimento e alla risoluzione di problemi.
  6. Lezione partecipata

    La lezione partecipata è un approccio didattico che pone gli studenti al centro del processo di apprendimento. Il docente agisce come facilitatore, stimolando la discussione e la partecipazione attiva degli studenti. In questo contesto, gli studenti sono incoraggiati a interagire tra loro e con l’insegnante, contribuendo attivamente al processo educativo. La lezione partecipata non ha un singolo inventore, ma si inserisce nel più ampio contesto della didattica attiva, che ha radici nelle teorie di pedagogisti come John Dewey.
  7. Role Playing

     è una tecnica psicologica e didattica che coinvolge l’assunzione temporanea di un ruolo da parte dei partecipanti, per esplorare dinamiche sociali, comunicative o psicologiche. È stato introdotto nel 1934 da Jacob Levi Moreno, uno psichiatra e sociologo rumeno.

    Nel contesto educativo, il role playing viene utilizzato per permettere agli studenti di sperimentare situazioni realistiche in un ambiente controllato e sicuro. Gli studenti assumono ruoli specifici e agiscono in scenari simulati, che possono variare da situazioni sociali quotidiane a complesse negoziazioni aziendali o storiche.

    Ecco come si svolge un role playing:

    1. Preparazione: L’insegnante o il facilitatore sceglie uno scenario rilevante per gli obiettivi didattici e assegna i ruoli ai partecipanti.
    2. Briefing: I partecipanti ricevono informazioni sul loro ruolo e sul contesto dello scenario.
    3. Svolgimento: Gli studenti improvvisano le loro azioni e interazioni basandosi sui ruoli assegnati, seguendo le linee guida fornite ma senza uno script rigido.
    4. Debriefing: Dopo la simulazione, si svolge una discussione di gruppo per riflettere sull’esperienza, analizzare le dinamiche interpersonali e valutare le strategie utilizzate.

    Il role playing aiuta a sviluppare competenze come l’empatia, la comunicazione, la risoluzione dei conflitti e il pensiero critico. Inoltre, offre ai partecipanti l’opportunità di esplorare e comprendere meglio i diversi punti di vista e le emozioni associate ai ruoli che hanno interpretato.

  8. Stem: 

    La metodologia STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è un approccio educativo interdisciplinare che integra queste quattro discipline fondamentali in un curriculum coeso, basato sull’apprendimento pratico e sul problem solving. L’obiettivo è preparare gli studenti a comprendere e applicare concetti scientifici e matematici attraverso l’uso della tecnologia e dell’ingegneria, promuovendo così l’innovazione e lo sviluppo di competenze critiche per il mondo moderno.

    La metodologia STEM si svolge attraverso attività didattiche che incoraggiano gli studenti a:

    • Esplorare: Gli studenti indagano fenomeni scientifici e problemi tecnologici reali.
    • Creare: Progettano e costruiscono soluzioni ingegneristiche, utilizzando la matematica come strumento per l’analisi e la verifica.
    • Collaborare: Lavorano in gruppo per affrontare sfide complesse, spesso con progetti che si estendono oltre i confini della classe.
    • Riflettere: Analizzano i risultati, riflettono sui processi e valutano le soluzioni proposte.

    Il termine STEM è stato utilizzato per la prima volta nel 2001 durante una conferenza della National Science Foundation (NSF), un’agenzia governativa degli Stati Uniti che sostiene la ricerca e l’educazione in tutti i campi non medici della scienza e dell’ingegneria. L’NSF ha promosso l’adozione di questo approccio per rispondere alla crescente necessità di competenze scientifiche e tecnologiche nell’economia globale e per stimolare l’interesse degli studenti in questi campi cruciali.

  9. Storytelling

     è l’arte del raccontare storie. È una pratica millenaria che è stata utilizzata da molte culture in tutto il mondo per secoli, per tramandare storie, insegnamenti e tradizioni. Non può essere attribuito a un singolo inventore, poiché le sue origini si perdono nella notte dei tempi.

    Nello storytelling, il narratore condivide una storia, che può essere reale o immaginaria, utilizzando parole, immagini, suoni e altre forme espressive per coinvolgere l’ascoltatore. Le storie possono avere scopi educativi, intrattenere, trasmettere valori culturali o morali, o semplicemente stimolare l’immaginazione.

    In ambito didattico, lo storytelling viene utilizzato per sviluppare abilità linguistiche e cognitive, oltre a promuovere l’empatia e la comprensione di diverse prospettive culturali e personali.

  10. Circle Time

    è una pratica educativa che coinvolge gli studenti in un’attività di gruppo strutturata, dove si condividono pensieri, emozioni e idee. Si svolge tipicamente in un cerchio, con gli studenti e l’insegnante seduti insieme senza barriere fisiche, favorendo così l’interazione e la comunicazione aperta.

    La metodologia del Circle Time nasce negli anni Settanta nell’ambito della psicologia umanistica. È stata adottata in molte scuole per sviluppare capacità relazionali e comunicative nei bambini in età scolare e pre-scolare. Durante il Circle Time, possono essere affrontati diversi argomenti, come l’analisi di una storia letta in precedenza, la discussione di questioni morali o etiche, o la condivisione delle proprie esperienze personali.

  11. Inquiry Based Science Education (IBSE)

    L’Inquiry Based Science Education (IBSE) è un approccio pedagogico che pone l’investigazione scientifica al centro del processo di apprendimento. Promosso dalla Commissione Europea nel Rapporto Rocard del 2007, l’IBSE stimola gli studenti a formulare domande, a condurre investigazioni, e a risolvere problemi per comprendere meglio i fenomeni scientifici.

    Questo metodo si basa su una matrice costruttivista che parte dal lavoro di pedagogisti come John Dewey e Jean Piaget, e si articola in diverse fasi che coinvolgono attivamente gli studenti:

    1. Engagement: Gli studenti vengono coinvolti in un problema o in un fenomeno che suscita la loro curiosità e li motiva a imparare.
    2. Exploration: Attraverso l’esplorazione e la sperimentazione, gli studenti raccolgono dati ed evidenze.
    3. Explanation: Gli studenti formulano ipotesi e teorie basate sulle evidenze raccolte.
    4. Elaboration: Approfondiscono la comprensione dei concetti e applicano le loro conoscenze a nuovi contesti.
    5. Evaluation: Valutano criticamente il processo di indagine e i risultati ottenuti, riflettendo sulla loro comprensione e sulle strategie utilizzate.

    L’IBSE non è solo un modo per insegnare scienza, ma è anche un approccio che sviluppa competenze chiave come il pensiero critico, la capacità di risolvere problemi e la comunicazione scientifica.

  12. Project Based Learning (PBL)

    Il Project Based Learning (PBL) è un metodo di insegnamento in cui gli studenti apprendono attraverso l’impegno attivo in progetti che hanno significato personale e che sono collegati al mondo reale. Nel PBL, gli studenti lavorano su un progetto per un periodo prolungato, che può variare da una settimana fino a un semestre, impegnandosi nella risoluzione di un problema concreto o rispondendo a una domanda complessa. Attraverso questo processo, gli studenti sviluppano una conoscenza approfondita dei contenuti oltre a competenze critiche come il pensiero critico, la collaborazione, la creatività e la comunicazione.

    Il PBL si differenzia dal semplice “fare un progetto” perché richiede un pensiero critico, la risoluzione di problemi, la collaborazione e varie forme di comunicazione. Gli studenti devono fare molto più che ricordare informazioni; devono utilizzare competenze cognitive superiori e imparare a lavorare in squadra.

    Per quanto riguarda la creazione del PBL, non c’è un singolo individuo che può essere accreditato come il suo creatore. Il PBL si è evoluto nel tempo come un approccio pedagogico con radici nell’educazione progressiva e nel costruttivismo, influenzato da educatori come John Dewey e Jean Piaget, che hanno sottolineato l’importanza dell’apprendimento attivo e basato sull’esperienza. 

  13. Gamification: detto anche

     ludicizzazione, è una metodologia che applica elementi e principi del gioco in contesti non ludici, come l’educazioneQuesto approccio non si limita a giocare a giochi in classe, ma integra meccaniche di gioco come punteggi, livelli, sfide e premi nel curriculum didattico per aumentare la motivazione, l’engagement e la partecipazione degli studentiLe origini della gamification risalgono agli anni '70, ma il termine è diventato di uso comune solo all’inizio del XXI secolo. Il concetto è stato poi diffuso e sviluppato da vari esperti nel campo dell’educazione e del business.
  14. EAS (Episodi di Apprendimento Situato): tale metodologia è stata introdotta dal prof. Pier Cesare Rivoltella e si è diffusa in Italia a partire dal 2014. L’EAS è strutturata in tre fasi:

    1. Fase Preparatoria: dove viene consegnato un compito anticipatorio, come un video da guardare o un’esperienza da fare, solitamente in modalità flipped, da svolgere a casa.
    2. Fase Operatoria: in cui la classe sviluppa una micro-attività individuale o di gruppo per produrre un artefatto, come una mappa concettuale o un breve video.
    3. Fase Ristrutturativa: il debriefing, ovvero una riflessione critica sui processi attivati, che può avvenire attraverso un brainstorming o metodologie di analisi più strutturate.

    La metodologia EAS si basa su un’accurata progettazione del docente (Lesson Plan) e propone agli studenti esperienze di apprendimento situato e significativo, che portino alla realizzazione di artefatti digitali. I riferimenti pedagogici dell’EAS includono la “scuola del fare” di Freinet e le teorie di Montessori, Dewey, Bruner, Gardner e Don Milani.

  15. Service LearningIl Service Learning è un approccio pedagogico che combina obiettivi di apprendimento con il servizio alla comunità, offrendo un’esperienza di apprendimento pragmatica e progressiva, mentre si rispondono a esigenze sociali. Questa metodologia è stata introdotta tra il 1966 e il 1967 da Robert Sigmon e William Ramsey.

    Le fasi del Service Learning possono variare leggermente a seconda del modello specifico, ma generalmente includono i seguenti passaggi:

    1. Investigazione: Gli studenti esplorano e analizzano il contesto della loro scuola o comunità per identificare problemi o bisogni che potrebbero risolvere o migliorare.
    2. Preparazione: In questa fase, gli studenti sviluppano un piano d’azione, acquisendo conoscenze e risorse necessarie per l’attuazione del progetto.
    3. Azione: Gli studenti rispondono a un bisogno autentico in modo informato, mettendo in pratica il loro piano d’azione.
    4. Riflessione: Durante e dopo l’azione, gli studenti riflettono sulle loro esperienze, collegando il servizio svolto con l’apprendimento accademico e il loro ruolo come cittadini.
    5. Dimostrazione: Gli studenti condividono i risultati e le lezioni apprese con altri, riflettendo su ciò che hanno imparato e su come l’esperienza possa applicarsi ad altre situazioni.
    6. Valutazione: Infine, gli studenti valutano l’impatto del loro servizio sulla comunità e il proprio apprendimento.

    Il Service Learning non è solo un metodo di insegnamento, ma anche un modello per lo sviluppo della comunità che viene utilizzato come strategia didattica per raggiungere obiettivi di apprendimento e/o standard curriculari.

  16. Peer Education (Educazione tra Pari)è un approccio educativo che si basa sull’interazione e lo scambio di conoscenze tra studenti della stessa età o status. Questo metodo permette agli studenti di imparare gli uni dagli altri, sviluppando capacità di comunicazione, collaborazione e problem-solving.

    Le fasi del Peer Education includono:

    1. Definizione del gruppo di lavoro: selezione di un gruppo di studenti che agiranno come peer educators.
    2. Individuazione dei peer educators: scelta degli studenti che avranno il ruolo di educatori tra pari.
    3. Formazione dei peer educators: addestramento degli studenti selezionati per svolgere efficacemente il loro ruolo.
    4. Progettazione e realizzazione degli interventi: i peer educators pianificano e conducono attività educative.
    5. Realizzazione degli interventi tra pari: attuazione delle attività educative tra gli studenti.
    6. Valutazione: analisi e valutazione dell’efficacia degli interventi educativi.

    Il Peer Education ha radici storiche nel metodo del “mutuo insegnamento” e si basa su una matrice costruttivista. Non c’è un singolo individuo che può essere accreditato come il suo creatore, ma è stato popolarizzato da Eric Mazur, professore ad Harvard, nei primi anni '90. Originariamente utilizzato in classi di fisica introduttiva all’Università di Harvard, il Peer Instruction, una forma di Peer Education, è ora utilizzato in varie discipline e istituzioni in tutto il mondo.

  17. Lezione SegmentataLa Lezione Segmentata, nota anche come chunked lesson, è una metodologia didattica che risponde ai problemi di concentrazione o motivazione degli studenti. Si basa sulla suddivisione della lezione in brevi segmenti formativi, alternando spiegazioni, attività e feedback continui. Questo approccio è stato sviluppato da Joan Middendorf e Alan Kalish nel 1996. Hanno proposto di variare e frammentare la lezione in segmenti da 10 minuti per mantenere alta l’attenzione degli studenti.

  18. TEAL (Technology-Enhanced Active Learning)Il TEAL è una metodologia didattica che integra lezioni frontali, simulazioni e attività laboratoriali su computer per un’apprendimento collaborativo e interattivo. È stata sviluppata al MIT (Massachusetts Institute of Technology) all’inizio degli anni 2000 come parte di un’iniziativa per migliorare l’insegnamento della fisicaLa classe TEAL prevede l’uso di tecnologie avanzate e arredi modulari per facilitare l’apprendimento attivo. 

  19. Scuola Scompostaè una metodologia didattica che mira a destrutturare l’ambiente scolastico tradizionale, promuovendo un apprendimento più libero e personalizzato. Le fasi possono variare, ma generalmente includono:

    1. Riorganizzazione dello Spazio: trasformazione degli spazi scolastici in ambienti flessibili e multifunzionali.
    2. Autonomia degli Studenti: gli studenti hanno maggiore libertà di movimento e scelta delle attività.
    3. Apprendimento Competenziale: le attività sono progettate per sviluppare competenze specifiche.
  20. Outdoor EducationL’Outdoor Education (Educazione all’aperto) è un approccio che utilizza l’ambiente esterno come contesto educativo. Le fasi tipiche includono:

    1. Preparazione: pianificazione delle attività all’aperto in linea con gli obiettivi didattici.
    2. Attuazione: svolgimento delle attività all’aperto, spesso in forma di esplorazione o gioco.
    3. Riflessione: discussione e riflessione sull’esperienza vissuta e sulle conoscenze acquisite.

    L’Outdoor Education si basa sulle idee pedagogiche di educatori come John Locke e Jean-Jacques Rousseau, che hanno sottolineato l’importanza dell’esperienza diretta e dell’ambiente nell’apprendimento.

  21. Tinkering: è un approccio educativo che incoraggia gli studenti a sperimentare attivamente con materiali e idee per costruire conoscenze e competenze. È particolarmente diffuso nell’educazione STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Le fasi del Tinkering includono:

    1. Esplorazione: gli studenti esplorano liberamente materiali e strumenti.
    2. Progettazione: ideazione di un progetto o di un problema da risolvere.
    3. Costruzione: realizzazione pratica del progetto.
    4. Test e Riflessione: test del progetto e riflessione sui risultati per miglioramenti futuri.

    Non c’è un singolo inventore del Tinkering, ma è stato popolarizzato da istituzioni come il Tinkering Studio dell’Exploratorium di San Francisco.

  22. Problem Solving è un processo strutturato che aiuta a identificare e risolvere problemi in modo sistematico. Le fasi del problem solving possono variare a seconda del contesto e della metodologia specifica, ma in generale, il processo di risoluzione di un problema si articola in diverse fasi. Ecco una panoramica delle fasi comuni:

    1. Identificazione del problema: In questa fase, si definisce chiaramente il problema da risolvere. Si pongono domande come: chi è coinvolto? Cosa è successo? Cosa si vuole ottenere? Perché? In che modo? Quali strumenti sono a disposizione? L’obiettivo è comprendere appieno la natura del problema.

    2. Analisi del problema: Qui si indagano le cause del problema e si esaminano le possibili soluzioni. Si cerca di capire a fondo il contesto e le variabili coinvolte. L’analisi del problema aiuta a individuare le opportunità di miglioramento e a identificare le sfaccettature del problema.

    3. Generazione di possibili soluzioni: In questa fase, si cercano idee creative e alternative per risolvere il problema. Si utilizzano tecniche come il brainstorming per generare una varietà di opzioni. L’obiettivo è ampliare il campo delle possibilità.

    4. Valutazione delle soluzioni: Si valutano le diverse opzioni generate nella fase precedente. Si considerano fattibilità, costi, benefici e impatti. Si seleziona la soluzione più promettente o adatta alle circostanze.

    5. Implementazione della soluzione scelta: Una volta selezionata la soluzione, si passa all’azione. Si mette in atto la strategia pianificata e si attuano le misure necessarie per risolvere il problema.

    6. Controllo e valutazione della soluzione: Dopo l’implementazione, si monitora l’efficacia della soluzione. Si verifica se il problema è stato risolto con successo e se la soluzione ha prodotto i risultati desiderati. Se necessario, si apportano modifiche o si adottano misure correttive.

    Il problem solving è un processo iterativo, e spesso si torna indietro tra le fasi per rifinire la soluzione o affrontare nuovi aspetti del problema. È importante adattare il processo alle specifiche esigenze e al contesto in cui ci si trova.

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